E’ una calda mattina di agosto quando entro nel silenzio dorato della chiesa di S.Apollinare Nuovo. Sono l’unica visitatrice e la basilica, misteriosa e splendente, mi incute quasi soggezione. Il mosaico, come nella maggior parte delle chiese di Ravenna, è il protagonista assoluto: più sfarzoso del semplice affresco, riveste del suo manto lucente chiese e battisteri, come una sorpresa incantata dietro la semplicità dell’aspetto esterno. Fuori, le pareti in muratura e l’austerità delle forme; dentro, i bagliori dell’oro, del turchese, del verde giada.
Il corredo musivo di S.Apollinare racconta una storia lunga e complessa, aggrovigliata come una matassa di lana. Tanti sono i fili che la compongono; sono legati alle diverse vicende politiche, militari e sociali che si sono susseguite nel tempo e sono intrecciati saldamente l’uno all’altro. Oggi solo in parte possiamo snodare quei fili per ammirarne le singole apparenze; il resto è sepolto tra i misteri della storia. Appena entrata, mi trovo davanti alla famosa immagine del porto di Classe, inserito sulla parete sinistra della navata centrale, con il riquadro azzurro e luminoso del mare e le tre imbarcazioni che sfidano le leggi dello spazio e della logica; riescono però, nell’estrema sintesi, a suggerire un’atmosfera particolare, quella del porto antico, vivace baricentro commerciale della civiltà ravennate.
Oggi quel porto è riemerso dopo millenni: il parco archeologico di Classe si trova a 4 km a sud del centro storico di Ravenna ed è aperto alle visite turistiche. Il mare ormai si è allontanato e, dove una volta si trovava la distesa blu del Mediterraneo, adesso ci sono i campi coltivati e la vasta area verde del Parco del delta del Po. Nel mosaico che la raffigura, Classe (nome derivato dalla flotta, Classis, che era stanziata nel porto) appare come una vera e propria città e non solo come il prolungamento di Ravenna sul mare. E’ un centro urbano ricco di edifici dal sapore romano ed è circondata da alte mura; un vero e proprio baluardo difensivo sul Mediterraneo orientale: questo l’aspetto che doveva avere in età bizantina.
L’antico porto era stato fondato da Ottaviano Augusto nel I secolo a.C. e allora, secondo Plinio, contava una flotta di 250 imbarcazioni, la più potente dell’Adriatico.
Tra i marinai, gli schiavi che lavoravano sulle triremi, gli uffici amministrativi e gli operai degli arsenali, ci doveva essere una nutrita folla di uomini qui, ai quali si aggiungevano le loro famiglie e, come riporta Dario Fo nella sua interessante “La vera storia di Ravenna” (1999, edizioni Franco Cosimo Panini),
..un alto numero di inservienti del circo, gli aurighi per le corse dei cavali, donne, danzatrici, acrobate, e, infine, i gladiatori allenati alla scuola di Cesarea, città cuscinetto tra Ravenna e Classe.
In effetti tra gli agglomerati di Classe, Cesarea e Ravenna la popolazione doveva raggiungere circa i 150.000 individui, facendo del luogo uno dei centri più popolati d’Italia.
Tuttavia già all’epoca di Teodorico (V-VI sec. d.C.), quando S.Apollinare venne costruita, il porto si stava interrando. Così il re ostrogoto ordinò dei lavori di ristrutturazione e sterramento che lo riportarono in buone condizioni; ma sarà solo con il periodo bizantino che il porto vivrà una nuova età dell’oro, riguadagnando un ruolo di rilievo nell’ambito commerciale e militare.
Ma torniamo indietro per un attimo. S.Apollinare Nuovo ha avuto tante vite, quella più antica e misteriosa appartiene all’epoca della sua nascita, quando viene eretta come cappella di corte di Teodorico, re degli ostrogoti, tra il 493 e i primi del secolo VI.
Tra le sue mura, la chiesa è solita accogliere il sontuoso corteo regale del sovrano, che si è insediato da poco in Italia al comando del primo regno romano-barbarico ed ha scelto come capitale proprio Ravenna. Poco più in là, c’è un edificio imponente che ora non esiste più, il sontuoso Palazzo di Teodorico, immortalato nel mosaico della navata, di fronte alla raffigurazione di Classe. Sono molti gli edifici che il re fa erigere in città, creando un vero e proprio quartiere ariano e goto, parallelo a quello cristiano. Ma siamo in un età violenta ed oscura, caratterizzata da cambiamenti repentini, e presto, con la morte del re ostrogoto, nuovi dominatori si imporranno sulla città, plasmandola a proprio piacimento proprio come avevano fatto i barbari. Nel 540 infatti Ravenna è conquistata dall’esercito bizantino, durante la guerra greco-gotica (535-553), e diventa capitale dell’Esarcato d’Italia. Questo ha significato, per S.Apollinare, l’ingresso in una nuova esistenza: da chiesa ariana, la religione ufficiale degli ostrogoti, si trasforma in cristiana e molti dei mosaici vengono eliminati, perché si richiamavano al regno di Teodorico e a quella che fu giudicata la sua terribile eresia.
Solo le scene con la passione e i miracoli di Cristo, che si trovano sulla fascia più alta del mosaico e che si adattano anche alla religione cristiana, si sono salvati; sono molto espressivi e naturalistici, dato che si richiamano alla tradizione artistica romana.
La raffigurazione del Palatium di Teodorico viene anch’essa ritoccata; ma non troppo, dato che i mosaici sono particolarmente preziosi. Così vengono eliminati solo i personaggi goti, Teodorico e la sua corte, e al loro posto vengono inserite delle tessere dorate.
Tra una colonna e l’altra, però, sbucano ancora, come spettri che anelano tornare in vita, le le mani di questi personaggi che la memoria cristiana ha voluto cancellare. Il vescovo di Ravenna, Agnello, cerca di connotare in senso cristiano anche il resto dei mosaici rifacendoli di sana pianta, mentre la Chiesa viene intitolata a S.Martino di Tours, un pezzo grosso della lotta contro le eresie.
Lungo tutta la navata, sotto la fascia alta con le storie di Cristo e quella mediana con una serie di profeti, si snodano due eleganti e lunghissimi cortei. Sono ventidue le sante guidate da S.Eufemia e dai tre re Magi, fino alla Madonna in trono vicino all’abside.
Di fronte a loro, sulla parete opposta, appaiono ventisei martiri, che si susseguono fino a Gesù in trono. Le influenze romane hanno lasciato il posto alla dimensione eterea e lunare dell’arte bizantina; il suo scopo non è imitare la natura, ma incutere soggezione nel fedele. Questi non deve capire, non deve immedesimarsi nella scena; può solo inginocchiarsi, prostrandosi di fronte all’immensità e alla potenza divina.
Il vescovo Agnello, col beneplacito di Giustiniano che ora è il nuovo imperatore cristiano d’Oriente e Occidente, è riuscito nel suo intento: Teodorico e l’arianesimo sono cancellati, maledetti per sempre, e la basilica è epurata. Lo splendore dei mosaici rimane ad abbagliare i fedeli, oggi come allora. Più tardi la chiesa sarà arricchita da un pittoresco campanile cilindrico, che svetta ancora oggi nel cielo di Ravenna, e da un portico rinascimentale. Nel IX secolo verranno traslate qui le spoglie di S.Apollinare, il martire romano patrono della città. Furono trasportate in questo luogo, ritenuto più sicuro, dalla decentrata basilica di S.Apollinare in Classe, che era soggetta alle pericolose incursioni dei pirati. Con il loro arrivo la chiesa assunse il nome del santo, quello che conserva tutt’ora, a cui fu aggiunto l’aggettivo nuovo, per distinguerla dall’altra Chiesa ravennate, S.Apollinare in Veclo.
Da allora questo antico tempio rimane il simbolo dell’incontro-scontro tra romanitas e barbaritas e nella sua bellezza immortale si sfumano i contorni di queste vicende lontane e burrascose. Il punto di attrazione del corredo musivo, in questo spazio sacro pieno di antiche memorie, per me sono le vergini in processione; una lunga teoria di fanciulle dalle eleganze bizantine e dalle movenze flautate. Si somigliano tutte, ma, guardandole con attenzione, non sono proprio uguali: i mosaicisti hanno creato piccole differenze nei tratti del viso e nelle posture, nonché nelle fantasie dei manti dorati che ricadono sul candore delle vesti.
La teoria di corpi femminili pare perdersi all’infinito, tanto è lunga. Il loro incedere lento e senza peso, nell’atmosfera rarefatta dello stile bizantino, ha colpito gli artisti delle epoche successive, soprattutto quelli degli anni a cavallo tra il XIX e il XX secolo.
Quasi che le vergini fossero uscite dalla chiesa, abbandonando la rigida sacralità dei mosaici, per attraversare gli oceani del tempo ed infilarsi in qualche quadro fin de siècle. Come presenze lievi ed evanescenti, ora possono scendere con grazia le scale dorate di Edward Burne–Jones, s o danzare leggiadre, come suggerisce Gaetano Previati. L’ispirazione spesso non è diretta, cosciente; piuttosto, è qualcosa nell’aria, un gusto o un sentimento indefinito che spinge a raffigurare sempre più lo stesso soggetto: gruppi numerose di donne, cortei femminili che vantano una grazia antica e sovrannaturale, come quelle bizantina.
In alcuni casi, quelle vergini candide si trasformano in vere e proprie divinità ricoperte d’oro, o ammaliatrici dallo sguardo sulfureo, come quelle di Klimt, che del resto ai primi del Novecento era venuto in visita a Ravenna. Qui l’imperatrice Teodora della basilica S.Vitale e le vergini di S. Apollinare Nuovo avevano esercitato la loro antica seduzione, colpendo il pittore con una bellezza diversa, algida; un modello fascinoso a cui ispirarsi.
Ma chi erano, in realtà, quelle antiche fanciulle? Me lo sono sempre chiesto. Certo l’arte bizantina si allontanava dalla realtà oggettiva, ma i mosaicisti, nel loro percorso verso l’astrazione, dovevano pur esser partiti da un dato concreto e naturale, da ciò che vedevano intorno a loro.
Le ragazze della Ravenna bizantina, quelle in carne ed ossa, avevano, come le donne romane, poche strade possibili davanti a sé, in questo mondo tardo-antico che stava sfumando nel medioevo: il monastero, il matrimonio o l’eterna perdizione dei bordelli. Sposate a 12 anni e sfiancate da numerosi parti, non raggiungevano quasi mai un’età avanzata. All’epoca in cui le vergini furono realizzate nel mosaico di S.Apollinare, le lavoranti delle case di piacere, che certo avevano molto da fare con il trambusto degli uomini del porto, subirono un brutto colpo. Accadde quando l’imperatrice Teodora, la redenta moglie di Giustiniano, decise di occuparsi di loro sull’onda del fervore cristiano. La regina era stata un attrice e donna di malaffare, ma, sposato il suo notevole amante, aveva deciso di mettere la testa a posto.
Fece chiudere tutti i bordelli di Ravenna e, allo scopo di salvare le donne che vi lavorarono, le rinchiuse nei monasteri. Ritorniamo alle pagine di Dario Fo:
Là troveranno asilo contro la lussuria, portate ad una vita di meditazione, murate vive. Si, carcerate nel corpo, ma libere e salve nell’anima. Alcune di loro con comprendono il sublime dono di Teodora e si buttano dalle alte mura del monastero, sfracellandosi al suolo.
Chissà chi erano veramente le ragazze di S.Apollinare, quelle che i mosaicisti tennero a modello, forse le stesse che entravano qui ogni giorno per assistere alla messa? Sante, martiri, giovani mogli, donne cadute e redente dalla conversione…. non lo saprò mai con certezza. Intanto continuo a guardarle, nel loro incedere senza tempo e senza coscienza. Altere, bellissime ed intoccabili.
Articolo pubblicato su www.carnetdevoyage.it